Ho deciso di partire.
Non sarà facile, alla mia età, senza sapere la lingua e con quei pochi risparmi che forse, togliendo il biglietto, non mi basteranno nemmeno per un mese. Mi hanno detto che là è tutto caro.
Ma che faccio? Non posso lasciarlo da solo.
Sono una donna semplice, vedete. Ho lavorato sodo per tutta la vita, senza mai lamentarmi.
Mi avrete sicuramente vista la mattina presto, ad aspettare l’arrivo dell’autobus. O la sera, quando è già scuro, camminando veloce rasente i muri delle case.
Siamo tutte uguali noi donne lavoratrici. Le mani gonfie, sgobbiamo per tirare avanti, per mettere ogni giorno sul tavolo qualcosa da mangiare per i nostri figli, per dare loro una vita migliore della nostra.
Per strada ci riconosciamo, anche senza salutarci. Ci basta uno sguardo per condividere tutte le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, le nostre fatiche che, alla fine, sono sempre le stesse.
Silenziosamente ci facciamo forza, perché un’altra vita, diversa da questa, non ci verrà concessa.
Con un po’ di fortuna abbiamo uomini che ci danno una mano, ma la maggior parte delle volte ci possiamo fare poco affidamento.
Spesso è anche un bene che se ne vadano di casa, o che trovino posto al camposanto, come il mio.
Doverlo dividere con la bottiglia di vino è stato peggio che se avesse avuto un amante. Avrei preferito mille volte la vergogna del tradimento alla continua sofferenza che io e mio figlio abbiamo dovuto patire per anni.
Ed ecco qui come siamo andati a finire.
Eppure sono stata giovane anche io, anche io ho avuto i miei sogni, le mie speranze, le mie aspirazioni. Ed è incredibile come la realtà delle cose, come le persone che ti stanno intorno siano capaci di coprire tutto con un telo, nascondere le tue ambizioni sotto uno spesso strato di polvere.
Ecco la mia più grande colpa, non aver reagito, non essermi ribellata, non aver deciso diversamente.
Quando sono rimasta incinta ormai avevo già fatto le mie scelte. Se c’è una cosa di cui mai riuscirò a perdonarmi è di aver pensato che mio figlio fosse la causa di tutti i miei guai.
Forse per questo l’ho amato più di ogni altra cosa, l’ho difeso, ho sacrificato tutto per lui.
Se chiudo gli occhi e penso a lui, sento forte l’odore della lavanda e lo vedo piccolo, che gioca in giardino e mi riempie di orgoglio.
Non riesco ad immaginarlo grande, forse perché quel periodo lontano è stato, nonostante tutto, il momento più bello e pacifico di tutta la mia vita.
Quando la sua compagna mi ha telefonato urlando che mio figlio è un assassino, io non ho capito che cosa stesse dicendo. L’ho capito solo quando lui mi ha chiamata, piangendo, dal carcere.
Viveva già in un’altra città quando con lei hanno deciso di trasferirsi all’estero. Ci siamo visti per l’ultima volta, gli ho dato la mia benedizione e quasi tutti i soldi che avevo messo da parte. Andare via, correre dietro la vita, è quello che avrei dovuto fare anche io tanti anni fa.
Gli ho dato un bacio e gli ho detto sii felice.
E invece sarebbe stato meglio cercare di coprire tutto con un telo, soffocare le sue ambizioni, essere una cattiva mamma.
Una questione di un attimo, uno stupido litigio tra vicini ubriachi e adesso sono la madre di un assassino.
Ma che posso fare, lasciarlo lì da solo? È mio figlio, sangue del mio sangue e non ha che me al mondo per dargli un po’ di conforto.
In fondo là come qua, sarà la stessa cosa. Alzarsi presto la mattina, lavorare duro, e tornare tardi la sera.
Dovrò imparare la lingua, ma per strada, incrociando le altre mamme, le altre donne come me, non ci sarà bisogno di parlare per raccontarci i nostri problemi.
Ci capiremo al volo e ci faremo forza.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara
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