Tra gli atti di violenza più gravi perpetrati sui corpi delle donne, con la particolarità paradossale che in alcuni Paesi la pratica è normale prassi!
Le mutilazioni dei genitali femminili sono da considerare, dopo l’assassinio, tra gli atti di violenza più gravi perpetrati sui corpi delle donne, con la particolarità paradossale che a renderli legittimi nei Paesi dove la pratica è normale prassi, è il consenso delle intere comunità e dei loro capi, delle famiglie e, in alcuni casi delle stesse interessate (quando sono in grado di esprimerlo), perché sanno che solo così possono ottenere l’approvazione e il rispetto della società in cui vivono.
Un grido di allarme
Di conseguenza, milioni di donne giovani, spesso giovanissime, dai corpi sani, vengono sottoposte a rituali che ne ledono l’integrità naturale, con conseguenze che condizioneranno per sempre il loro sviluppo psico-fisico, l’esercizio naturale delle loro funzioni, la loro salute in genere e i loro rapporti con l’altro sesso, quando non sono causa di morte per infezioni o malattie indotte.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato tre tipi principali di mutilazioni : 1- la circoncisione (l’infibulazione al-sunna); 2- l’escissione del clitoride (al wasat) e taglio totale o parziale delle piccole labbra; 3-l’infibulazione (o circoncisione faraonica o sudanese).
1- La circoncisione (o infibulazione al sunna)
E’ costituita dall’asportazione della punta del clitoride e la fuoriuscita di sette gocce simboliche di sangue.
Questa sembra essere la forma meno invasiva tra le mutilazioni sopra indicate, tuttavia avendo leso la parte più erogena dell’organo genitale, oltre a provocare la diminuzione della sua sensibilità naturale, provoca fastidio alla stimolazione tattile.
Qualcuno ha cercato di equiparare la circoncisione femminile a quella maschile, praticata presso gli ebrei, in Egitto e altri popoli dell’Africa e dell’Asia. Tuttavia è bene chiarire che si tratta di operazioni completamente differenti, sia negli scopi che nelle conseguenze fisiologiche.
Infatti, mentre nei maschi la circoncisione nasce da motivazioni igieniche e non ha conseguenze sulla funzionalità e sensibilità dell’organo, i motivi che spingono ad attuare simili mutilazioni sugli organi femminili non hanno nessuna giustificazione igienica, ma hanno il solo scopo di togliere a quello femminile una sensibilità ad esso funzionale, perché considerata socialmente “indecorosa” .
2- L’escissione totale del clitoride
Clitoridectomia (al wasat), e taglio totale o parziale delle piccole labbra.
In questo caso è molto ridotto e compromesso il piacere nel rapporto sessuale; inoltre, in corrispondenza del nervo del clitoride si forma un neuroma che rende dolorosissima ogni stimolazione tattile, mentre il taglio delle piccole labbra ne rende la mucosa un tessuto cicatriziale, con conseguenze assai negative.
3– L’infibulazione
O circoncisione faraonica o sudanese, consiste nell’asportazione totale del clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra che vengono cauterizzate; a ciò segue la cucitura (infibulazone: dal latino “fibula” che significa spilla) della vulva, lasciando aperto solo un foro per la fuoriuscita delle urine e del sangue mestruale.
Lo scopo di questa pratica è quello di rendere impossibili i rapporti sessuali fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva, che deve essere effettuata dallo sposo all’inizio della vita matrimoniale) e di impedire che le donne siano tentate a non arrivare vergini al matrimonio.
Le vedove e le divorziate di solito vengono reinfibulate.
Tutto ciò, per consentire a numerose società, dai regimi rigidamente patriarcali, un controllo totale sulla sessualità della donna, a tutte le età e in tutte le sue condizioni.
Tutte queste operazioni, inoltre vengono spesso effettuate in assenza di anestesia e di idonee condizioni igieniche, con strumenti inadeguati e da chirurghi privi di ogni preparazione sanitaria (frequentemente donne della stessa famiglia o appartenenti alla stessa comunità) con il pericolo di procurare gravi lesioni, emorragie ed infezioni, talvolta con esiti mortali.
Le mutilazioni genitali femminili quindi sono causa di gravissime conseguenze
Immediate, dovute allo shock psico-fisico derivante dall’operazione in sé e dalle sue modalità, e successive, per gli effetti a lungo termine che si determinano lungo il corso della vita delle donne che l’hanno subita, come il formarsi di cisti, infezioni varie, rapporti sessuali difficili e dolorosi, parti complicati, pericolosi (che spesso terminano in tragedia), e altro ancora.
Si può facilmente immaginare quale fardello di negatività viene così caricato sulle spalle delle donne, e come ciò possa condizionare la loro intera esistenza. Se poi si pensa che queste operazioni vengono effettuate in alcuni Paesi anche su bambine in tenerissima età (perfino neonate), il quadro che ne risulta è quello di una violenza e crudeltà umanamente intollerabili.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha valutato intorno ai 130 milioni il numero delle donne che nel mondo ha subito tale barbaro trattamento e in circa 3 milioni all’anno le bambine che ne sono a rischio.
La pratica delle mutilazioni sessuali nel mondo ha un’origine remota di cui si è persa la memoria
Ritrovamenti archeologici ed esami su mummie egiziane della VI dinastia (2340 a.C.) ne rivelano già l’esistenza. Comunque, i Fenici, gli Hittiti, gli Etiopi, ma, in alcuni casi, anche i Romani e i Greci, al fine di ottenere il massimo controllo sul comportamento sessuale femminile ne facevano uso. L’ignoranza faceva il resto, ad esempio: Paolo di Egina del VII sec. d.C. sosteneva che se alle bambine non fossero state rimosse le clitoridi, esse si sarebbero sviluppate come peni e quindi avrebbero permesso rapporti lesbici.
Alcune tribù in Africa ne sono ancora convinte e agiscono di conseguenza. Tuttavia anche in Occidente e negli USA fino alla seconda metà del XIX secolo,la ninfomania e il lesbismo venivano curati con l’asportazione del clitoride. Anzi a quel tempo qualcuno arrivava a considerare l’orgasmo femminile una “malattia”.
Oggi questa pratica viene ancora effettuata in molti Paesi dell’Africa, soprattutto di religione islamica, quali Kenya, Burkina Faso, Uganda, Ghana, Mali, Gibuti, Etiopia, Eritrea, Somalia, Egitto, Senegal, Guinea e altri
Dove è comunemente diffusa. Quivi ne vengono sottoposte bambine molto prima del loro sviluppo sessuale.
Da uno studio effettuato in Egitto nel 2005, è risultato che le mutilazioni genitali erano state imposte a circa il 96 % della popolazione femminile.
Tuttavia non esiste nel Corano, il libro sacro dell’Islam, alcun precetto che imponga manipolazioni dei genitali femminili o attività che arrechino danni fisici alle donne
Questa pratica perciò trova la sua giustificazione in usanze arcaiche, di origine antichissima, che sono giunte fino ai giorni attuali quali tradizioni “indiscutibili” e accettate come tali anche da teorici religiosi e recepite nella giurisprudenza coranica in quanto consone ai principi propri e a quelli della comunità.
Di conseguenza, dobbiamo cercare nella necessità di conformarsi alla mentalità comune e nel desiderio di vivere nel rispetto della propria collettività l’accettazione di pratiche così dolorose ed invasive sulle proprie figlie, da parte di padri e di madri – e in alcuni casi anche su se stesse da parte delle interessate – perché sanno che in caso contrario sarebbero trattate dalla società con disprezzo ed emarginate, e che, comunque, difficilmente potrebbero trovare marito.
Naturalmente le mutilazioni dei genitali femminili sono da tempo argomento di moltissime campagne per la loro cessazione
Ne sono impegnati attivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e l’ONU, che il 20 dicembre 2012 ha adottato la risoluzione per la sua messa al bando universale; inoltre esistono molte iniziative da parte di associazioni formate da volontari, politici, ricercatori, scienziati, personaggi delle nostre società che operano in tal senso: così, ad esempio la radicale Emma Bonino che sin dagli anni novanta del secolo scorso si adopera per provocare la sensibilizzazione dei Paesi dove questa pratica è comunemente applicata. Inoltre, anche in tali Paesi esistono organizzazioni non governative, studiosi, persone coraggiose che operano per far comprendere che tali pratiche, non solo ledono il diritto umano fondamentale della donna alla sua integrità fisica e alla sua salute, ma costituiscono pure per la comunità stessa fonte di gravi problemi.
Al momento attuale le mutilazioni dei genitali femminili sono considerate reato, ovviamente, in tutti i Paesi di cultura occidentale, in particolare in quelli a forte immigrazione di donne provenienti da Paesi Africani, come il nostro e, ora, in quelli Europei in genere, ma anche in Eritrea, dove dal 31 marzo 2007 sono previste multe e carcerazione per i trasgressori, e nel Burkina Faso dove sono state messe al bando già dal 1985. Dal 2015 anche in Nigeria tali pratiche sono sulla strada di essere considerate illegali.
Indubbiamente, anche se ancora con troppa lentezza qualche risultato comincia ad essere visibile, si spera che le campagne intraprese abbiano effetti sempre maggiori fino alla cessazione totale del fenomeno
Ci vorrà tempo, perseveranza e la collaborazione illuminata e consapevole dei Paesi interessati perché ciò avvenga al più presto, anche attraverso un’adeguata e costante educazione delle collettività e nel giro di pochissime generazioni.
Tuttavia, sento la necessità di raccomandarmi in proposito da queste pagine e di chiedere anche ai teologi di tutte le religioni, di collaborare in tale direzione, in particolare a quelli delle culture religiose che credono nella perfezione di Dio e del Creato, in quanto Sua Emanazione. A loro umilmente chiedo, perciò: “non pensate che pratiche di tal genere siano non solo una gravissima, permanente lesione del diritto umano alla propria integrità fisica, psichica e spirituale della donna, ma anche, e soprattutto, un gravissimo sacrilegio, una profanazione, uno sfregio ad una Creatura di Dio che, in quanto Tale, nasce perfetta ed intoccabile?”
Dott.ssa Silvana Vitali per Redazione VediamociChiara
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