Subito dopo Campo de’ Fiori, a via dei Giubbonari, prima che prendessimo via dei Pettinari, lei mi ha stretto la mano.
Mi è parso per gioco, così, visto che la giornata era trascorsa in maniera piacevole, perdendo tempo a camminare spensieratamente per il centro, a ridere per il tacco incastrato tra i sanpietrini, a mangiare un panino seduti sui gradini di una chiesa, a parlare del più e del meno sentendoci in completa sintonia.
C’era anche un bel sole che, dipendendo da come si infilava tra i tetti, ci faceva strizzare gli occhi.
Insomma, sono sicura non sia stato calcolato, deciso prima. Mi è sembrata più che altro una cosa buffa, tanto per finire la giornata prendendoci in giro, per sbeffeggiare la vita, perché anche gli adulti possono fare delle coglionerie alle volte, tanto per fare, per marcare un ricordo.
E poi non ci conosce nessuno, che male fa un poco di allegria, come quella che dà il vinello, dopo un bicchiere di troppo.
E così noi donne abbiamo formato una nuova coppia e loro, che erano ancora più allegri di noi, ci hanno seguito nel gioco e si sono presi la mano. Ci hanno guardato ridendo da un po’ più avanti e hanno fatto qualche saltello effemminato dondolando le braccia legate nella stretta delle dita.
Ci hanno strappato una sonora risata che ha attirato l’attenzione di chi ci passava accanto, esattamente quello che volevamo per bearci un poco di quella irriverente e adolescenziale strafottenza che ormai la vita difficilmente ci avrebbe concesso ancora di sperimentare.
Poi i due, dopo pochi metri, mentre già ci lasciavamo alle spalle Piazza della Trinità dei Pellegrini, sono tornati ad essere gli uomini di sempre e la loro allegria si è andata sfumando in gesti decisi, riconoscibili, di spalle larghe e falcate ampie.
Io, ancora sorridendo, ho provato a lasciare la sua mano, ma lei me l’ha stretta ancora di più e mi ha guardato in un modo tale che mi ha spiegato tutto senza dire una parola.
Non so perché ma ho lasciato che incrociasse le sue dita con le mie, in una più audace comunicazione.
Forse confusa dall’improvviso battere forte del mio cuore, mi sono fatta trasportare e anche la nostra allegria si è smorzata facendo rapidamente spazio ad un altro tipo di sentimento.
Il gioco aveva smesso di essere sciocco, complicandosi precipitosamente in un fiotto di trasgressione che mi ha eccitata.
Quella stretta di mano, quello sguardo languido, quella passeggiata diventata silenziosa mi hanno fatto sentire improvvisamente di fronte ad una scoperta, un nuovo sconvolgente punto di vista.
Fino alla fine di via dei Pettinari lei mi ha spalancato il suo cuore, ha lasciato che stringessi i suoi sentimenti, ha implorato la mia comprensione. E io l’ho amata follemente per questo. Avrei voluto che il giorno non finisse più e che quella via ci potesse condurre fino alla fine del mondo.
Sul Lungotevere, a piazza San Vincenzo Pallotti, abbiamo raggiunto i nostri uomini e lì lei ha lasciato la mia mano. Ci siamo guardate, di sfuggita, abbiamo riformato le coppie, aspettato che il semaforo scattasse.
Su Ponte Sisto eravamo nuovamente amiche, abbiamo guardato il Tevere, scambiato qualche parola con voce tremante, rubato uno sguardo per assicurarci che non fosse stata tutta immaginazione.
A Piazza Trilussa ci siamo salutate, la nostra giornata era finita. Ci siamo promessi di rivederci, gli uomini si sono abbracciati vigorosamente, ma ormai eravamo nuovamente delle estranee.
Non ci siamo più viste, so che loro vivono altrove e hanno avuto figli.
Io, invece, cerco ancora la strada che mi conduca all’amore, come quello che ho stretto nella mia mano per pochi minuti, in quella via di Roma tra via dei Giubbonari e il Lungotevere.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara
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