La Rabbia negli Occhi, la Libertà nel Cuore
Attacca alle nove in punto, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Ma se le ordinassi di lavorare anche il sabato e la domenica non batterebbe ciglio. Alle nove, o a qualsiasi ora volessi, lei inizierebbe a pulire i pavimenti.
Anche se lo pensate, vi assicuro che non mi si può accusare di schiavismo.
E io ne so qualcosa, fidatevi, la mia età mi consente di parlarvi di schiavitù con cognizione di causa, perché l’ho vista e vissuta da molto vicino.
Ancora agli inizi del secolo scorso, quando sono nata, le donne erano perlopiù schiave, in qualsiasi contesto sociale e lavorativo. Persino tra le quattro mura delle proprie case la sottomissione era all’ordine del giorno.
Certo che c’erano le eccezioni, ma non crediate che le famiglie benestanti ne fossero escluse.
Anche mia madre e mia nonna erano delle schiave, forse senza saperlo perché all’uomo si doveva tutto, in silenzio, non c’era alternativa, era così e basta.
Perché nasconderlo, ormai è risaputo. Mio nonno e finanche mio padre, che poi aveva ereditato la fabbrica tessile di famiglia, sfruttavano le donne come più facevano loro comodo, in casa, ma anche sul lavoro. Le operaie erano sottoposte ad orari massacranti in filanda e qualcuna, nel corso degli anni, fu anche fatta accomodare nella penombra degli uffici privati per fugaci straordinari.
Non sono la sola a cui è capitato, in età matura, di incontrarsi con uno sconosciuto, o una sconosciuta, nelle cui vene scorre un po’ dello stesso sangue.
Cosa potevamo fare allora? Decisamente poco rispetto a quello che, invece, possiamo fare oggi.
Forse per questo io sono sempre stata una ribelle, la pecora nera della famiglia, follemente innamorata della libertà, della vita, sopra ogni cosa.
Persino all’amore per gli uomini ho sempre anteposto l’amore per me stessa, perché nella passione per qualcun altro vi ho sempre intravisto un barlume di schiavitù dalla quale sono fuggita prima che potesse cogliermi nella mia vulnerabilità di donna.
Chi mi conosce vi parlerà della mia forza, della mia incorreggibile indipendenza. In realtà non hanno capito nulla di me.
Io, in realtà, sono fragile e romantica, innamorata della vita, dei fiori e delle stelle. Sono gli occhi fieri, sofferenti, indifesi di tutte le donne ancora schiave nel mondo che alimentano la mia rabbia.
Alle nove in punto lei comincia a lavorare. L’ho amata da subito. Anche se è un robot tondo e basso e quando si accende fa un rumore infernale.
Me l’ha regalata mia nipote, la mia prediletta, la ribelle della famiglia, tale e quale a sua nonna. Per questo ci intendiamo al volo io e lei.
“Ecco la tua schiava” ha detto mentre la tirava fuori dalla scatola per farmi vedere come funziona.
E poi ci siamo fatte un sacco di risate a vederla sbattere da tutte le parti alla ricerca della polvere senza mai lamentarsi.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara
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